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Immagine del redattoreCaffè Leopardi

USA e Italia più vicine che mai

Aggiornamento: 6 lug 2019

Tensione al confine USA-Messico, intervista a Morgan Miller, studente americano.

 

“I migranti che cercano di varcare il confine sono alla ricerca delle stesse cose di cui i miei bisnonni erano alla ricerca quando arrivarono in America. Molti li accusano di rubare il lavoro, aumentare la criminalità del Paese, di volerci sottomettere. No, loro vogliono le stesse cose che vogliono tutti: un tetto sotto cui dormire, acqua potabile, elettricità, un lavoro sicuro e qualcosa da lasciare ai propri figli”. Sono queste le parole di Morgan Miller, diciottenne del Nord-California, pronunciate sotto il sole di Firenze il pomeriggio del 4 luglio 2019, parole sorprendentemente simili a quelle di molti italiani oggi. Abbiamo avuto modo di ascoltare l’opinione dello studente americano su un argomento che nella nostra penisola ha visto nell’ultimo mese la vicenda Sea Watch come protagonista indiscussa di dibattiti e proteste, e che tristemente rende la realtà americana non così distante dalla nostra: la questione dell’immigrazione.

Nelle terre scoperte da Cristoforo Colombo, nel Paese della libertà, nel laico melting pot di culture e popoli divenuto modello di progresso per il resto del mondo, un’immagine ha invaso il web il 26 Giugno 2019: quella di Angie Valeria, bambina di 23 mesi, abbracciata al padre, entrambi i corpi a faccia in giù sulle acque fangose del Rio Grande, tra rifiuti e bottiglie vuote. Arrivati dal Salvador, padre e figlia stavano tentando di attraversare il confine tra Messico e Stati Uniti per unirsi al resto della famiglia, sistemata in un campo migranti in attesa di ricevere asilo politico.

La loro foto ha mosso voci e coscienze in tutto il Paese, e fatto emergere la gravità della situazione del confine Messico-Stati Uniti, tema al centro della politica americana ormai dalle elezioni del novembre 2016.


Il confine tra Stati Uniti e Messico è lungo 3.145 chilometri, si estende dal Pacifico al Golfo attraversando California, Arizona, New Mexico e Texas da San Diego fino al Delta del Rio Bravo. Oltre a quelli di San Diego/Tijuana, che dividono la California dalla Baja California messicana (da anni un'area molto turistica) da quel 1971, altri muri sono stati costruiti lungo l'immenso confine fino a raggiungere una lunghezza complessiva di oltre mille chilometri. Il governo americano spende ogni anno miliardi di dollari per l’aggiunta di sensori, telecamere a visione notturna e altri strumenti per ridurre il grande numero di passaggi "clandestini", in maggioranza percorsi a piedi e di notte, lungo le rotte che i coyotes (veri e propri trafficanti di persone umane) conoscono a memoria. Il principale ente che si occupa di controllare il confine è la Border Patrol, un’agenzia federale che conta più di 20mila dipendenti, occasionalmente appoggiata da enti locali.


L’attuale presidente Donald Trump ha sempre espresso una linea molto dura sulla questione dei flussi migratori, facendone un proprio cavallo di battaglia durante la campagna elettorale e uno dei temi principali dell’agenda. Il ritiro dal Global Compact del 2017 (l’accordo promosso dalle Nazioni Unite che sancisce la volontà di creare una rete di collaborazione internazionale per fare fronte ai processi migratori), la retorica sul muro al confine con il Messico e i suoi provvedimenti anti-migrazione e sulle espulsioni degli immigrati, procedono tutti verso la medesima direzione. Dalla sua prima giornata alla Casa Bianca alla fine dell’anno fiscale (30 settembre), sono state effettuate 61.000 espulsioni, il 37% in più rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente.

“Tornatevene da dove siete venuti” è la risposta del presidente di fronte ai disperati tentativi di attraversare il confine da parte di intere famiglie in cerca di una vita migliore, frase che a noi italiani suona familiare, seppur sentita su altre bocche politiche.

Insomma, lingua diversa, personaggi politici diversi, coste distanti, ma l’atmosfera che si respira tra la gente è la stessa, le discordanti opinioni comuni che si scontrano muovono dagli stessi sentimenti, e nel frattempo i migranti perdono la propria vita sia in Italia che in America.


Qual è quindi il comun denominatore che anima conflitti interni, odio e frustrazione e rende il raggiungimento di una soluzione un lontano miraggio in entrambi i Paesi?

Si sente spesso collocare molti problemi della nazione americana nella sua giovane età, e quindi nell’assenza di una solida e stabile base culturale che eviti scontri tra le varie etnie, scontri dovuti ad un sentirsi i legittimi figli di quelle terre. Ma Morgan replica:“Non credo che ciò sia prettamente legato alla giovane età del Paese, e all’assenza di un’unita base culturale, poiché anche in Italia, diversa per quell’aspetto, ci sono discussioni e conflitti interni dovuti alle stesse ragioni.” e mette in risalto come, a prescindere dalla storia di un Paese, gli ostacoli e le divergenze di visioni siano costanti dovute alla natura umana.

Secondo lui, la responsabilità principale sta piuttosto nelle mani della politica e della disinformazione. La politica Americana bipolare bipartisan, infatti, provoca una polarizzazione ed estremizzazione dell’opinione comune, rendendo lo scontro tra visioni politiche improduttivo, poiché nega l’esistenza di un compromesso. Il comun denominatore tra la realtà italiana e americana è quindi una crescente incapacità della popolazione di pensare super partes, di non vedere il mondo diviso in bianco e nero, in giusto e sbagliato.

Ed in questo senso oltre alla politica, anche il ruolo dei social e dell’informazione è preponderante. Di fronte ai mass media, infatti, che ci imboccano notizie spesso facili da digerire, ma amputate di molte parti fondamentali, dovremmo costruire uno scudo protettivo rigido e solido, così da non diventare vittima di strumenti che dovrebbero al contrario aiutarci ad avere un’opinione critica sulla nostra attualità.

“Credo che gran parte delle tensioni siano dovute ai social media, che diffondono stereotipi, false credenze con scarsi fondi di verità, che le persone che non abitano in sanctuary cities (città-rifugio per immigrati clandestini, non perseguibili in quei luoghi, in attesa di ottenere il permesso di soggiorno), non vivendo a contatto diretto con quelle realtà, non sono capaci di distinguere” afferma Morgan, evidenziando come il pericolo della propaganda sia ancora più grande in un Paese di dimensioni notevolmente maggiori a quelle italiane, e dove quindi la deformazioni di fatti e notizie è praticamente inevitabile.

Questa distorsione rende popolare una visione semplificata della realtà, e fa aumentare le discussioni in cui il movente principale dei commenti è quello di farsi sentire, di alzare polemiche, e che hanno come obiettivo non quello di raggiungere una soluzione, ma di distruggere le opinioni avversarie.

Ascoltiamo dibattiti, leggiamo commenti sul web, e prendiamo le parti di chi ci sembra pronunci le parole più ragionevoli, senza comprendere che l’ipocrisia, come la ragione, sta da entrambi le parti. Vediamo senza accorgercene la realtà divisa in due, mentre non ci rendiamo conto che stare qui a litigare, erigendo muri di orgoglio mentre chi in mare o nel Rio Grande rischia la vita, non è il modo per ottenere il beneficio di entrambi le parti.

L’epoca del chiasso, delle grida vuote e cliché scagliate da un americano all’altro, da un italiano all’altro, che anziché maturare soluzioni, dividono e allargano le crepe del Paese, finirà quando i nostri sguardi si apriranno ad altri orizzonti, quando capiremo che la classe politica di cui ci lamentiamo è figlia dei nostri voti, quando realizzeremo che maturare una coscienza critica non implica necessariamente il criticare, ma l'informarsi in prima persona.



- Giulia Ciarlantini

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