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Immagine del redattoreCaffè Leopardi

Priorità di un Ministro

“Prima gli italiani”.

“Chi scappa non merita di stare qui, lo considero un fannullone”.


Cento punti a chi riconosce l’ideatore di queste due “celebri” massime che tante volte abbiamo sentito. Ovviamente è proprio lui, il nostro Ministro degli interni.

Colui che tanto si schiera a favore dei compatrioti urlando nelle piazze “Prima gli italiani” e che tanto investe sui giovani che definisce “suoi figli” (testuali parole) non sempre dimostra questa grande “nobiltà d’animo”.

A che cosa mi sto riferendo?

Da tempo è aperta la diaspora tra i fautori della legalizzazione delle cosiddette droghe leggere e coloro che considerano invece quest’ultime il trampolino di lancio per ritrovarsi poi morti di overdose con una siringa sul braccio.

In questi ultimi anni, per avvicinarsi pian piano ad una progressiva apertura verso una possibile legalizzazione, sono nati i tanto conosciuti coffee shop di cannabis light, abilitati alla vendita di cannabis con dosi minime di principio attivo, il THC, quindi senza alcun effetto psicogeno.

E fino a qui, nulla di strano. Molti giovani e meno giovani, visto il grande successo riscontrato da questo “nuovo business”, hanno ben pensato di investire, vendendo magari le loro attività, e aprire uno shop di cannabis light. Rinunciando, appunto, a cercare fuori dal bel paese occasioni lavorative.

Ma cosa ha a che fare tutto questo con le parole del Ministro degli Interni? La risposta può essere ben riassunta due sole parole: incoerenza ed ipocrisia.

Difatti, nella sua (infinita) campagna elettorale, oltre al celebre accanimento contro i migranti, Matteo Salvini si è di recente schierato dalla parte di coloro che combattono alacremente contro la legalizzazione delle droghe leggere. Beh, direte voi, punti di vista. Ma ciò che è sconcertante è che il ministro sostenga fortemente che non ci sia alcun tipo di differenza tra “droghe pesanti” e “droghe leggere”, e che la stessa vendita di cannabis light non sia altro che un incentivo al consumo di stupefacenti, e che farà “chiudere uno ad uno tutti i punti di vendita di derivati dalla marijuna in quanto punti di spaccio”.

Ma, dati alla mano, “la legalizzazione della cannabis light ha portato a una riduzione tra l'11% e il 12% dei sequestri di marijuana illegale per ogni punto vendita presente in ogni provincia e a una riduzione dell'8% della disponibilità di hashish”.

Quindi colui che tanto difende la legalità non dovrebbe riconoscere l’efficacia di una possibile legalizzazione? A quanto pare no, visto che è stata disposta dalla Cassazione la chiusura di tutti i negozi che (con autorizzazione della questura, giusto per precisarlo) erano adibiti alla vendita di “easyjoint”.

E poco importa se questo ordine arbitrario vada contro gli interessi di innumerevoli giovani italiani che hanno deciso di investire e farsi carico ad esempio di mutui trentennali per poter aprire un negozio di cannabis light:a quanto pare l’importante è solamente fare campagna elettorale con slogan forti e populisti: “Prima gli italiani”, ma solo quando conviene.


- Giulia Borini

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