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Immagine del redattoreCaffè Leopardi

Liberi, ma non troppo

Quello che racconto in questo articolo non è altro che ciò che è successo a me e alcune mie amiche circa un mese fa, cercando di riportare il più fedelmente possibile i fatti e poi di farne maturare una riflessione, con la speranza che possa suscitarne una anche in voi.

 

È il nove maggio 2019 quando quattro ragazze decidono di andare a contestare Salvini durante il suo comizio ad Osimo, in visita elettorale per dare sostegno al candidato sindaco della Lega. All'accesso principale della piazza, il reparto mobile delle forze dell'ordine controlla tutti (o quasi) i passanti con borse o zaini per assicurarsi che non ci sia niente di pericoloso. Tocca anche a me e quando il poliziotto mi chiede di aprire la borsa per dare un'occhiata, nota un cartellone arrotolato, e cosa di più pericoloso di un foglio A4 in cui si critica il ministro che tanto ama le forze di polizia da indossarne sempre la divisa? Così lo prende e lo porta subito al commissario, che leggendo l'ingiuriosa scritta "Salvini extracomunitario torna in Padania", dice "Questo non ce piace" e ci sequestra il cartellone, mettendolo nel loro camioncino, senza alcuna spiegazione, si fa così e basta, non sono tenuti a dare delle risposte. Si svolge il comizio, Salvini delizia tutti i sostenitori con venti minuti di discorso e quarantacinque di selfie, e noi contestatori con simpatici e canonici attributi. Insomma, tutto nella norma. Quando è tutto finito e decidiamo di andare via ritorniamo dalle forze dell’ordine che avevano promesso che, a comizio concluso, ci avrebbero ridato il cartellone. Io però non voglio solo questo, io voglio delle spiegazioni: che diritto ha la polizia di sequestrarmelo? Una domanda semplice, ma a cui nessuno dei circa dieci poliziotti che erano lì per noi ha saputo rispondere. Neanche quando abbiamo detto che devono far rispettare la legge e non scavalcarla, neanche quando abbiamo detto che abusare del proprio potere perché si hanno davanti delle giovani ragazze è vergognoso, neanche quando abbiamo detto che la nostra unica colpa è stata di aver manifestato la nostra libertà di espressione. Anzi, a pensarci bene qualche risposta divertente e poco intimidatoria l'abbiamo ricevuta, come "Meritiamo l'estinzione""Denunciateci tutti allora""Il vostro cartellone lo abbiamo perso e non possiamo più restituirvelo, ci dispiace""Nel frattempo le schediamo tutte queste ragazze" (Peccato che lo aveste già fatto un'ora prima).

Alla fine il cartellone me lo sono ripreso e l'ho riportato a casa con tanta amarezza. Amarezza che si fa ancora più pesante con la consapevolezza che di storie come questa ce ne sono tante. Penso alla ragazza che a Salerno, durante un comizio di Salvini, si è vista prendere il telefono dagli agenti della DIGOS su richiesta del leader della Lega perché infastidito dal video fatto; penso allo striscione “Non sei il benvenuto” appeso sul balcone i una casa di Brembate per l’arrivo di Salvini rimosso dai vigili del fuoco; penso all’insegnante di Palermo sospesa per non aver “vigilato” sugli studenti che hanno accostato le leggi razziali del 1938 al decreto sicurezza. Un clima in cui contestare comincia a far paura ed esprimere il proprio dissenso è diventato pericoloso. Eppure la Costituzione parla chiaro circa la libertà di espressione, e se a non rispettarla sono proprio coloro che il nostro paese lo controllano viene da farsi qualche domanda: cosa significa fascismo nel 2019? I tempi sono cambiati, le modalità sono cambiate. Non possiamo più pensarlo nei termini della realtà storica del secolo scorso, dei totalitarismi del novecento, nessuno subirà violenze da regime. Adesso fascismo significa che puoi dire la tua purché non sia troppo scomoda, che puoi dissentire purché lo faccia in silenzio, che puoi insegnare liberamente purché certe cose non vengano dette, che godi di certi diritti ma qualcun altro di più grande può toglierteli. È più subdolo, silenzioso, striscia nel sottosuolo non palesandosi mai troppo e per questo ancora più temibile, perché più difficile da trovare e riconoscere. Ma si muove, colpisce, e non possiamo rimanerne indifferenti. Oggi come sempre è nostro dovere preoccuparci che la nostra libertà e quella degli altri venga rispettata: se adesso stiamo a guardare in silenzio i soprusi e le ingiustizie che subiscono gli altri, quando un giorno ricadranno su di noi nessuno si muoverà per venirci in aiuto, e non potremo fare più nulla perché ormai sarà troppo tardi.


- Beatrice Ciarrocchi

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