top of page
Immagine del redattoreCaffè Leopardi

[IT/EN] Teenagers Abroad: Mamma ho perso l'aereo

Aggiornamento: 14 giu 2019

[IT/EN]

Adolescenti e vite all’estero: perché non rimandare

 

Lunedì mattina, ore 7:00, California.

Emma si siede sul letto sbadigliando, si trascina in bagno dove un’acqua decisamente troppo gelida le bagna il viso, ingurgita la colazione e corre fuori, nel tagliente freddo di dicembre, in ritardo per le lezioni. In quello stesso minuto Luca in Italia si alza da tavola dopo aver pranzato con la sua famiglia e prepara accuratamente la borsa per l’allenamento di calcio nel pomeriggio; mentre Mia, in Argentina, sotto il sole latino americano, sta assaporando in spiaggia ogni briciolo d’estate rimasto, sfregando le mani sporche di sabbia e crema sull’asciugamano nel vano tentativo di pulirle. Stesso momento, stesso giorno, tre vite diverse, in tre parti del mondo diverse, di tre persone differenti, ognuna con i propri progetti e sogni nel cassetto.

Per quanto non sopporti l'espressione “La vita è ingiusta”, poiché non fruttuosa a nulla se non all’aumento di densità di depressione nell’aria, una parte di verità c’è, e lo possiamo sperimentare fin dalla nascita. Veniamo messi al mondo e non ci è concesso dare alcuna preferenza sul dove o quando. Nessuno mi ha chiesto di scegliere il cognome ed è pazzesco e frustrante pensare a quanto invece la famiglia influenzi la nostra esistenza e tutte le opportunità che a questa si affacciano. Le nostre origini modellano la definizione che abbiamo di “casa”, di “normale”, persino di “bello”, concetti che incontriamo e usiamo nella quotidianità, sottovalutandone l’importanza. Forse proprio perché così comuni e frequenti nelle nostre vite, non realizziamo quanto la loro interpretazione cambi da una cultura all’altra, finché non lo sperimentiamo di persona.

Pensavo di sapere tutto dell’America: libri, film, corsi di inglese, documentari, e chi più ne hapiù ne metta. U-S-A erano tre lettere a me familiari ben prima di imbarcare i bagagli due estati fa. Fremevo sul sedile al pensiero di vedere finalmente con i miei occhi quello che era stato oggetto di fantasie e progetti per ben diciassette anni. Annoiata dal solito paesaggio incorniciato dalla finestra della mia camera, mi attraeva in maniera spaventosa l'ebbrezza di gettarmi nel vuoto, di affidarmi alle mani caso. E all’aumentare dell’entusiasmo, si ingrandiva dietro di me anche l’eco di voci che mi scoraggiavano: gli esami di integrazione, un’estate passata a studiare, la lontananza da casa e amici, una vita da ricreare, il diventare adulta senza l’aiuto di nessuno. “Puoi aspettare qualche anno” era la frase che sentivo troppo spesso. Motivazioni legittime, che riuscivano a rendermi piccola e impreparata di fronte all’immensità dell’Atlantico. L’unica certezza era l’America, e in una scatola con un grande punto interrogativo poteva nascondersi il Texas, l’Alaska, le Hawaii o altre quarantasette alternative. Insomma, tante aspettative, ma la verità è che l’ombra di una grande delusione sovrastava ogni pensiero.

Quindi il vero mistero è cosa mi abbia portato a formare quei fogli, a farmi superare la paura del buio. Come quando si legge un libro e poi lo si posa sullo scaffale, lasciato lì per giorni accarezzato e abbracciato dalla polvere, io sentivo di aver lasciato qualcosa a metà. I capitoli letti finora si erano rivelati intensi e magici, ma comunque avevano bisogno di un continuo per giungere all’epilogo del romanzo. Quell’aereo rappresentava per me l’occasione di riaprire il libro, e di crescere.

L’impulso deve nascere dentro di noi: un desiderio di scoprire la propria vera identità, di metterla alla prova e correre il rischio di qualche lacrima, deve bussarti nel cervello con insistenza, e chiamarti, e quasi infastidirti dalla sua tenacia. L’adolescenza, oggetto di ricerche, di crisi, di studi, è quella breve fase della propria vita, nella quale concentriamo ogni cambiamento e scelta determinanti per il nostro domani, sentendo la pressione addosso e il terrore al pensiero di sbagliare. Non abbiamo nessuna esperienza in campo, eppure dobbiamo piantare i semi della nostra maturità e assicurarci che crescano forti e rigogliosi.

L’anno all’estero è stato la svolta della mia adolescenza, o perlomeno l’esperienza che ad oggi ha avuto l’impatto più forte sulla mia crescita. “Cominciamo il liceo appena quattordicenni, e ce ne usciamo con la macchina” diceva un mio vecchio professore, ed aveva ragione. Fa sorridere pensare a quale grande ruolo giochino questi anni nelle nostre vite, ed è per questo che è importante non sprecarli. Non sapevo in quale delle due colonne rientrasse la scelta di vivere all’estero, ma adesso, seduta qui a scrivere, sono grata di aver seguito l’istinto.

Con il biglietto in mano desideravo ritornare dopo un anno ricca di nuove amicizie, esperienze e un fluido inglese. Le mie aspettative sono state superate. Quando dicono che si tratta di un’esperienza di vita, le parole suonano vuote e cliché, ma non lo sono. Viaggiare da sola mi ha fatto rivalutare la solitudine, apprezzare il tempo con me stessa ed imparare ad essere indipendente. Rinasci in un posto dove il tuo nome, cognome, esperienze passate, non significano nulla per nessuno. Le lancette dell’orologio continuano a girare senza aspettarti e devi ricreare la tua bolla, quella in cui eri vissuto per diciassette anni in Italia. Non ti viene fornita una lista di nomi di cui ti puoi fidare, e allora comprendi che l’unico vero compagno di viaggio che non ti deluderà mai sei tu. A nessuno importa nulla se ti viene da piangere ma non lo vuoi dare a vedere perché ti vergogni, se ti senti giudicato per la lingua,che come un muro non lascia uscire i pensieri dalla bocca nonostante fremano dal farlo, se tisenti escluso ma non sai con chi confidarti, se speravi che fosse quella ragazza a fare il primo passo ma non è successo, se qualcuno ti ha tradito, deluso e non hai voglia di ricominciare la ricerca. Non c’è nessun tappeto rosso con la scritta “Benvenuto” all’ingresso, nessuna sigla di “High School Musical” di sottofondo. Sei tu e quello che sai, di fronte ad film già iniziato, e ti trovi ad esserne il regista. Devi renderlo avvincente anche se non ti piacciono i personaggi e la trama: il lieto fine dipende da te, senza “ma” o “se”. E non è stato semplice. Nonostante non ci sia stato alcun episodio eclatante a traumatizzarmi, era la quotidianità a pormi davanti l’evidenza di quante cose avevo dato per scontate a casa. Tante le sensazioni ed emozioni che si arrovellavano nello stomaco, lo stress che tutto posava sulle mie spalle, e la consapevolezza di avere con me solo 21 kg di valigia, mi hanno posto davanti a momenti difficili, nei quali non potevo rivolgermi ai miei o all’amica fidata, perché cosa si prova lo sai solo quando ti trovi lì. Non potevo chiudere gli occhi e stringere i denti aspettando che l’incubo finisse, urlando “voglio tornare a casa” fino a che non si fosse avverato. Resti fermo, immobile, ad analizzare le tue lacrime e paure, fai un respiro profondo, e trovi una soluzione. Si apprende l’arte dell’arrangiarsi, che credevo di conoscere, ma palesemente mi sbagliavo. In quelle crisi, un lato di me che non conoscevo è emerso, una nuova forza che non sapevo di possedere, mi ha scosso e ricordato il perché di quell’ avventura. “Un’esperienza meravigliosa” non sono solo sorrisi e divertimento, ma molto di più: sono forse quei minuti con gli occhi bagnati a rendere quel viaggio “meraviglioso”. L’aggettivo deriva da “meravigliarsi, stupirsi”, e non penso che un verbo possa racchiudere più chiaramente cosa l’America sia stata per me. Ho provato stupore nell'assistere ai cambiamenti di cui sono stata oggetto in così poco tempo, e che sono orgogliosa di aver compiuto senza l’aiuto di nessuno. Viaggiare da adolescente è il modo migliore di diventare adulti. Essere cittadini del mondo non significa dimenticare le proprie radici, ma apprezzarle e comprenderle più a fondo, scoprendo differenze e allo stesso tempo tratti in comune, che rendono più ricco e sensato l’aggettivo “umano”.

Ora ho una seconda casa e seconda famiglia oltreoceano, e il mondo non mi è mai apparso così piccolo. L’Italia ha un posto speciale nel mio cuore, ma so che c’è spazio per tanto altro. Partirò e tornerò di nuovo, scoprendo cosa mi rende felice e inseguendolo in aereo se necessario. Se di qualcosa sono certa però, è che ora, quando dalla camera osserverò il panorama incorniciato dalla finestra, saprò che i vetri nascondono molto di più e che posso affacciarmi fuori e scoprirlo quando voglio.


 

Teenagers abroad: a waste of time?

Monday morning, 7 a.m.,California. Emma wakes up, washes her face, has breakfast, and

runs out of the house, in the cold weather of December, late for classes. In the same exact

minute, Luca in Italy has just had lunch with his family and he’s getting ready for the soccer

practice in the afternoon; while Mia, from Argentina, is sunbathing at the beach, enjoying her

summer time and struggling with the sunscreen and the sand in her hands.

Same moment, same day, three different lives, in three different parts of the world, of three

different kids with their own projects and dreams. We don't choose where to born, which

family we want to grow up in. And it's so unfair how much this influences what we become

and the opportunities given to us. The background we grow up in determines our definition of “home,” of “normal,” of “beautiful”. We don't even realize how many differences are in the world until we experience them on our skin. Before I left for the U.S., I read books, watched movies set here, studied the language and the culture, I felt prepared. I was craving seeing this place, so bored of the same landscape everyday. I wanted to try something different and put myself out of the comfort zone. More than one person discouraged me about the exchange program. Making up the school work once come back, being so far from family and friends, facing dangers and bad moments alone.. “You can do it later” was the excuse most of them used. I have to be honest, the idea scared me a lot too. I didn't even get to pick the area or family that I wanted to be in: Alaska, Hawaii, Texas, no clue. And all these fears and frustrations for a possibly big disappointment.


So why did I decide to do it? Why did I think it wasn't a waste of time?

Because I felt something was missing. I felt like I was reading just one chapter of a book.

I was curious to know the entire plot, to see if that chapter was the best or the worst one.

I wanted to discover the real me, challenge the young and dreamy Giulia, taking the risk of a

big failure, or the credits for the best time of my life. At sixteen year old, we have to make so

many big decisions for our future, and we have no idea how it's going to turn out.

It's ironic though how much of our existence depends on those few years and how fast we

have to turn into adults, without any past experience in the field. We have to make sure to

not waste them and I had no idea if traveling was the right way to do it.


Now, after six months here, I can say to that little girl “thank you”. I've learned so much, and

describing it in two pages is not even possible. I became independent, learned that the only

person I can count on is myself. Nobody is waiting for you to feel comfortable with the area

or the language. If you are not open to different kinds of people, able to not judge before

knowing somebody, and to be a risk taker, no one is worried about you feeling left out.

You are the director of the movie, and it's your responsibility to make it work. In difficult

moments, you cannot just wake up like in a nightmare, you cannot scream “I want to go

home” until it comes true. You have to deal with it, find a solution. And it's not that easy as it

sounds. Sometime you feel trapped, and weak, regretting the moment you signed those

papers with your parents. But it's in that moment that the rational part of your brain, the one

hidden because somebody else always helped you so far, comes out, telling you that you

can do it, and why you are there. In that instant, you realize something changed, that having

a great experience doesn't mean to never cry, but to grow and change. And you don't care

about that problem you were upset about anymore: you are aware of how much stronger you are now.

Disappointments don't catch you flat-footed after a while, you learned how to face them.

Your time becomes so precious that isn't worth it to spend it whining in the bedroom.

Traveling as a teenager is the best way you can become an adult. It's like being born again,

in a new place where your name doesn't mean anything: a white paper to write a new life on.

Traveling doesn't mean forgetting your home, or forgetting your origins. Traveling means

appreciating way more what you took for granted until now. You get to see some differences

that you didn't even notice before, understanding deeply what means being Italian, or

American, what are those characteristics that the distance change.

At the same time, how much similar are humans and that emotions don't change with the

continent . I realized how small is the world and how important is to discover it completely.

I'll come back and I'll leave again, I'll look for what makes me happy with tenacity and spirit

of adventure around the world, reading all the chapters, thinking about my hometown just as

a starting point. Or maybe I'll come back and I'll love it so much that I'll stay there for the rest

of my life, being more aware of the entire picture, rathen that just a detail: knowing which

parts to improve to make that detail fit better in the painting.


- Giulia Ciarlantini

51 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

One day abroad

Comments


bottom of page