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Immagine del redattoreCaffè Leopardi

Essere donna nella scienza


 

“Il gusto per le scienze astratte in generale e per i misteri dei numeri in particolare è rarissimo [..]. Il fascino incantevole di questa scienza sublime si rivela solo a coloro che hanno il coraggio di immergersi nel suo studio. Ma quando una persona del sesso che, secondo i nostri costumi e pregiudizi, deve incontrare difficoltà infinitamente superiori a quelle degli uomini nel familiarizzare con queste scabrose ricerche, riesce nondimeno a sormontare gli ostacoli e a penetrare le parti più oscure della materia, allora senza dubbio ella deve possedere il coraggio più elevato, talenti straordinari e un genio superiore”. Questo è quello che il matematico Gauss scrisse a Sophie Germain, dopo aver scoperto che quello che pensava fosse uno studente molto promettente era, in realtà, una donna.

Siamo a Parigi, tra la fine del 1700 e i primi anni del 1800, in un’epoca in cui la matematica era considerata alla portata soltanto degli uomini. L’accesso alle università scientifiche era vietato, ma Sophie Germain era mossa da una profonda passione e da uno spiccato interesse, tanto da trovare un espediente per poter frequentare i corsi all’École Polytechnique. Utilizzò uno pseudonimo maschile e si travestì da uomo. Il suo nome divenne Antoine-August Le Blanc e la sua identità rimase al sicuro per diverso tempo finché Lagrange, supervisore di uno dei corsi che la Germain frequentava, rimase colpito dall’ingegno di Le Blanc e richiese un colloquio. A quel punto la Germain fu costretta a rivelare la sua identità, ma Lagrange, seppur sbalordito di ritrovarsi una giovane donna davanti, divenne suo supervisore, nonché uno dei suoi massimi sostenitori.


Una volta avuto accesso al vivo della matematica, per assicurarsi della correttezza delle sue intuizioni, la Germain decise di scrivere al miglior matematico dell’epoca: Carl Friedrich Gauss. Tuttavia, temendo di non essere presa sul serio, utilizzò di nuovo lo pseudonimo maschile. Anche Gauss rimase colpito dalla genialità delle sue idee e rispose positivamente alle richiese della Germain. Nel frattempo, Napoleone invase la Prussia e la Germain si preoccupò per l’incolumità di Gauss, così, dopo avergli rivelato la sua vera identità, si incaricò di custodire la sua incolumità. La risposta di Gauss fu quella sopracitata, e la sua capacità di riconoscere un talento a prescindere dal genere della persona rivelò come egli fosse un uomo di ampie vedute.

Ci sono diverse storie peculiari di donne che hanno avuto il coraggio di addentrarsi nel mondo scientifico, anche quando era a loro proibito. Ma, a mio avviso, quella di Sophie Germain è tra le più significative, poiché lei “rinuncia” alla sua identità, pur di coltivare la sua passione. Certo la Germain fu “fortunata” in un certo senso, perché, purtroppo, non tutte le donne che si sono avventurate nella scienza hanno riscontrato le stesse reazioni da parte degli uomini e dalla società.


Andiamo indietro di diverse centinaia di anni e spostiamoci in Alessandria d’Egitto. Tra la seconda metà del 300 e la prima del 400, troviamo una donna, Ipazia, figlia di Teone, studioso e insegnante, interessato in particolare alla matematica e all’astronomia. Ipazia fu allieva e collaboratrice del padre al quale successe ritrovandosi a capo della scuola alessandrina. Ipazia fu matematica, astronoma e filosofa. Il suo interesse per le materie scientifiche, però, venne visto in maniera tutt’altro che positiva. Ipazia venne trucidata da una folla di fanatici cristiani che la ritenevano nient’altro che una strega. La sua figura restò, però, il simbolo della libertà di pensiero che caratterizzava la scuola di Alessandria, tanto da sembrare che Raffaello Sanzio l’abbia inserita nel suo affresco “La scuola di Atene”.

Facciamo un ulteriore passo avanti, e arriviamo a una delle scienziate più importanti: Marie Curie. Marie Sklodowska Curie visse tra la fine del 1800 e i primi anni del 1900. Si laureò in matematica e fisica all’Università di Parigi. Assieme al marito Pierre, fece importanti scoperte in ambito nucleare. In particolare, scoprì la radioattività e due nuovi elementi, il radio e il polonio. Fu la prima donna a vincere il Nobel per la fisica, nel 1903, e la prima persona a vincere o condividere ben due premi Nobel. Infatti, nel 1911 vinse anche il Nobel per la chimica per la scoperta dei due nuovi elementi.


Dopo la morte del marito, le fu assegnata la cattedra di fisica generale e divenne la prima donna a insegnare alla Sorbona. La foto sottostante fu scattata al Congresso di Solvay del 1927 ed è una foto estremamente importante perché vi troviamo alcuni tra i più grandi scienziati mai esistiti. Molto simbolica anche perché Marie Curie è l’unica donna presente. Purtroppo, i suoi studi le costarono la vita: tutte le radiazioni alle quali il suo corpo fu esposto negli anni, le causarono un’anemia aplastica, per la quale morì nel 1934. I suoi appunti sono tutt’oggi considerati pericolosi, in quanto ancora radioattivi.



Muoviamoci ulteriormente più avanti, fino ad arrivare al 1° gennaio 2016: Fabiola Gianotti viene nominata Direttore Generale del CERN. Questo è stato sicuramente un giorno estremamente significativo, perché testimonia come si stiano superando quei pregiudizi che hanno ritenuto le donne inadatte al mondo scientifico per secoli. La Gianotti è la prima donna a dirigere il CERN ed è il primo direttore ad essere rieletto per un secondo mandato. Infatti, nel 2019 è stata nominata per la seconda volta e guiderà il CERN fino al 2025.


Nonostante gli enormi passi in avanti che sono stati fatti, ancora persiste una grande differenza tra le presenze maschili e femminili nel mondo scientifico. Non voglio annoiarvi con numeri o statistiche, vorrei piuttosto raccontarvi una testimonianza diretta: la mia. Mi sono laureata lo scorso ottobre in Fisica all’Università di Camerino, e devo dire che nel corso della mia “carriera” nel mondo scientifico non ho incontrato nessun tipo di ostacolo a causa del mio genere. Ho sempre avuto principalmente professori uomini, questo è vero, ma mi hanno sempre trattata e giudicata per le mie capacità, per il mio lavoro, non per il mio genere. Sono stata fortunata, perché non mi sono mai sentita “meno” per essere una donna, ma sono sempre stata trattata soltanto come scienziata. Tutto questo per dire come, in ambito accademico, le differenze stiano effettivamente scemando.

Il problema persiste all’infuori, nell’ottica comune. Un paio di anni fa, ero con il mio fidanzato (ingegnere biomedico) a Bruxelles e abbiamo incontrato una coppia di italiani con cui ci siamo fermati a scambiare due chiacchiere. Parlando esce fuori il fatto che io studiavo fisica e il mio ragazzo ingegneria. La donna mi fa “Eh, ma tu non sembri una che studia fisica”. Io sono rimasta momentaneamente senza parole e l’unica cosa che riuscivo a pensare era “Perché come dovrebbe sembrare una che studia fisica?!”. Mettendo insieme questo episodio, con altri in cui allo “Io studio fisica” mi sono sentita rispondere “Ah, educazione fisica?”, mi sono resa conto che alla “gente” può far strano sentire una donna, una ragazza, dire che studia fisica perché non c’è abbastanza consapevolezza dell’attuale realtà. Perché la fisica, molto più di altre materie scientifiche come matematica, viene ancora vista come un ambito prettamente maschile.

Siamo riusciti a eliminare, o ridurre drasticamente, le disparità in ambito accademico. Ora dobbiamo far capire alle persone che una donna che studia fisica non ha tre teste e otto gambe, non vola su una scopa, ma è esattamente come qualsiasi altra donna. Come ricercatrice scientifica spendo le giornate ad analizzare dati davanti a un computer o nei laboratori tanto quanto i miei colleghi uomini. Qualche settimana fa ho fatto una riflessione quando ho scoperto che uno dei modelli più importanti utilizzati in fisica nucleare, il modello a shell, è stato teorizzato da una donna. L’ho studiato per tre anni, ma nei libri ho sempre letto soltanto il cognome del fisico, Mayer, e ho supposto semplicemente fosse un uomo. Erroneamente, perché in realtà il nome completo è Maria Goeppert-Mayer. Mi sono resa conto, però, che il fatto che il modello sia stato inventato da una donna, di fatto non cambia niente. Non cambia la sua importanza, non cambia il suo utilizzo e non cambia gli studi che vengono tutt’oggi fatti a riguardo. Vorrei, quindi, che passasse questo messaggio: la scienza e la ricerca non hanno genere, mai lo hanno avuto e mai lo avranno. Ci sono voluti secoli per capirlo, ma prima o poi riusciremo a convincere tutti.


 

Silvia Bara

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