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Immagine del redattoreCaffè Leopardi

Caso Biblioteca: rivalutare un patrimonio per rivalutare se stessi

Aggiornamento: 14 giu 2019

Si sa che l’Italia è il paese che vanta il più grande patrimonio culturale mondiale presente sul proprio suolo. Ed è da sottolineare che tale patrimonio, ossia tutto lo scibile umano che è passato per il Bel Paese, e non, da quel tempo sino ad oggi è contenuto in un’altra ricchezza, quella delle biblioteche.


Si sentono citate ovunque, dal comune recanatese a città decisamente più grandi. Ma (è necessario chiederselo) cosa sono?

In breve: sono il luogo fisico in cui, all’interno di supporti cartacei e non, è riposto tutto il sapere e l’essere di una civiltà. Dove per civiltà si intende l’evoluzione del sapere umano in ogni suo aspetto. Come si nota, qualcosa di più di “deposito (theca) per libri (biblion)”.


Dunque perché si parla delle biblioteche come di “patrimonio”?

La risposta più facile è stata data sopra, mentre quella più strong è che la biblioteca “caratterizza” una comunità tanto quanto il Colosseo caratterizza Roma o Leopardi Recanati. La biblioteca è quella cosa in cui la comunità e le persone si identificano, e lo fanno grazie proprio a quello che risiede dentro di esse.

Come è vero che non tutti vanno a messa, non tutti vanno in biblioteca. Però sia la messa che le biblioteche continuano ad esserci.


E a cosa servono allora quest’ultime oggi?

Servono a far capire, a chiunque voglia, che questi luoghi spesso polverosi sono capaci di aggiungere conoscenze sempre nuove alla formazione dell’individuo: ad esempio il neofita la prima volta imparerà ad entrare in una biblioteca, forse la seconda apprezzerà quello che vedrà all’interno, e alla terza –speriamo- capirà che dietro quelle pagine ingiallite c’è letteralmente un mondo che fino a quel momento ha lavorato anche per lui.

Se costruirsi un’identità e il famoso pensiero critico andando in biblioteca sembra una cosa troppo da Leopardi, bisogna ricordare che anche la scuola ha come scopo far raggiungere allo studente le stesse facoltà. Già dalle Medie si conosce la “biblioteca della scuola”, che solitamente a quell’età rievoca immagini come la biblioteca proibita di Hogwarts, mentre alle Superiori questa diventa più il luogo dell’intellettualoide. Fatto sta che in entrambi i casi lo studente ha la possibilità di approcciarsi a quel mondo infinito e affascinante che è la cultura.


Quello che si cerca di far capire è che le biblioteche sono strumenti dati all’uomo dall’uomo; per fare cosa? Crescere sé stessi ed entrare a far parte della comunità con quei concetti di civiltà maturati grazie a quel patrimonio.


E ora approfondiamo la questione prendendo come esempio e spunto di riflessioni un istituto della zona:

si vuole raccontare l’evento accaduto sotto gli occhi di tutti il 26 Marzo 2018, prima dell’inizio delle lezioni, in quell’istituto. Cercando di riassumere: vennero ritrovati da due professori mattinieri numerosi volumi, provenienti dalla biblioteca, all’interno dei bidoni giallo sgargiante all’esterno della scuola. Sì, quelli della plastica oltretutto. E subito si sono adoperati nel riportarli nella loro originaria sede, in biblioteca appunto.

Il caso finì lì, nel silenzio generale. Si sapeva invece di uno spostamento dei libri, da un piano interno ad un’aula esterna, necessario per questioni di sicurezza; ma di cestinare libri dell’800-‘900 non ne era a conoscenza nessuno.

Ma, come già detto, il caso finì lì e non fece discutere.


Sia chiaro però che non se ne vuole parlare per denunciare l’evento, ma piuttosto per prenderlo come esempio per discutere su un altro argomento.

Quello che si vuole mettere in discussione, dopo quel preambolo fatto all’inizio,è l’attenzione, data o meno, al patrimonio culturale di un edificio che assume a pieno titolo il ruolo di formatore dell’individuo.

Se si ha dunque a disposizione uno strumento come una biblioteca in un contesto come la scuola, perché chi gestisce tale patrimonio non dà la giusta attenzione al suo mantenimento/rinnovamento?


Tramite il caso di quell’istituto si è voluto porre l’accento sulla questione del che cosa fa l’amministrazione per il mantenimento del patrimonio culturale della comunità. A prescindere dal fatto che la comunità se ne serva o meno, la soluzione potrebbe essere la rivalutazione del patrimonio effettivo che la collettività ha sotto gli occhi.


Non si vuole scagliare la colpa, ma suscitare una riflessione. Riflessione che dovrebbe puntare alla risoluzione del problema di “come sfruttare il patrimonio culturale” delle singole realtà in cui viviamo. Infatti, dopo anche tutto quello detto all’inizio di questo articolo, come si può non pensare di appartenere ad una unica realtà formata dalle molteplici che ognuno vive?

È qui che ci si scontra con la rivalutazione del patrimonio collettivo: imparare ad apprezzare quello che unisce l’uno all’altro, i meccanismi e la storia di questo legame.

Di sicuro la scomparsa di qualche scaffalatura di una vecchia libreria non ha recato danno a nessuno di noi, ma se cominciassero ad andarsene cose che ci caratterizzano direttamente -la piazza del tuo paese, il dialetto della tua città o la pasta dall’Italia - sicuramente la reazione non sarebbe la stessa.


La rivalutazione è questo, nel suo semplice: capire che si appartiene a qualcosa se quel qualcosa lo si sa apprezzare. E lo si fa solo cominciando a conoscerlo.

Le biblioteche non sono depositi per libri, ma monumenti che servono ogni tanto a ricordarci chi siamo e come abbiamo fatto ad arrivare dove siamo ora, nella speranza di andare sempre avanti e mai indietro.


- Francesco Sbaffo

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