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Immagine del redattoreCaffè Leopardi

Bere latte fa male?

Aggiornamento: 17 feb 2021


 

Nell’era dei social network, uno spettro si aggira per la rete: è lo spettro della disinformazione.

A tutti gli iscritti di Facebook, Instagram, Twitter, Tik Tok, Youtube è capitato, almeno una volta, di imbattersi in pagine, gruppi o canali divulgativi di presunte informazioni sconvolgenti o allarmanti relative al quotidiano. Acqua calda e limone con funzione catartica se bevuti appena svegli, sale rosa con proprietà drenanti, bevande detossificanti e cibi detox sono solo parte delle fake news a cui crediamo ogni giorno, incastrati in un meccanismo che si muove tra marketing e disinformazione scientifica. E’ in questo oscuro scenario che, illuminati dal barlume della scienza e dal buon senso, cercheremo di muoverci in questa rubrica.


LE ORIGINI

Una delle fake news meglio costruite e acclamate del web è quella che definisce il consumo di lattosio “contro natura” e il latte un alimento da evitare assolutamente, perché cancerogeno e innaturale. Questi divulgatori delle scienze dei gruppi facebook sostengono, come tesi, che l’uomo sia l’unico mammifero a consumare latte in età adulta.

La tesi è effettivamente corretta. Se nei secoli scorsi si riteneva che fosse l’intolleranza al lattosio, nell’uomo, l’anomalia, oggi la ricerca scientifica varca le frontiere europee ed è consapevole che solo 1/3 degli abitanti del globo può consumare latte senza avere spiacevoli effetti collaterali.

In origine, il nostro avo uomo primitivo perdeva la capacità di digerire il latte compiuto circa il quinto anno di età. Questo era un sentore per l’uomo, un campanello l’allarme, che lo costringeva a modificare la sua dieta, uscendo dallo status di lattante.


CHE COS’È L’INTOLLERANZA AL LATTOSIO?

Il lattosio è il costituente principale del latte ed è un disaccaride, composto da glucosio e galattosio. Tutti i neonati producono un’enzima, la lattasi, che scinde le due molecole rendendo la bevanda digeribile. In alcuni adulti una mutazione genetica millenaria ha fatto sì che la lattasi continuasse ad essere prodotta; in questi casi si parla di “persistenza della lattasi”.

In assenza di questo enzima, prodotto dal cromosoma 2, il lattosio rimane nell’intestino crasso dove viene fermentato dalla flora batterica intestinale con conseguente richiamo, per osmosi, di acqua e produzione di gas. Tra i sintomi dell’intolleranza troviamo infatti costipazione, diarrea e crampi.




LA PERSISTENZA DELLA LATTASI NEL MONDO

Stabilito che circa 1/3 della popolazione mondiale può digerire il latte, ci si aspetterebbe che questa percentuale sia distribuita nel globo in modo omogeneo. Quello che rende affascinante la persistenza della lattasi è invece il fattore di eterogeneità con cui è distribuita tra le nazioni: il 90% tra le popolazioni scandinave, ad esempio, può digerire il lattosio ma più si scende verso il sud dell’Europa, più questa percentuale si abbassa. In Sardegna, infatti, solo il 15% delle persone può bere latte senza effetti collaterali. La stessa modalità di distribuzione avviene anche in una singola nazione: nel Nord dell’India il 63% può bere latte in età adulta mentre nel Sud solo il 23%. In Asia la persistenza della lattasi è praticamente assente: questa è la ragione per cui nella cucina asiatica non sono presenti i latticini.




I DUBBI

Gli scienziati inizialmente non sapevano se la persistenza della lattasi fosse dovuta ad una mutazione genetica (e che avvenisse quindi in maniera del tutto casuale) o se fosse stata indotta da fattori esterni. L’ipotesi più accreditata era quella che, proseguendo a bere latte in età adulta, l’enzima lattasi continuasse ad essere prodotto.

Importanti studi condotti in Finlandia dimostrano il coinvolgimento di un gene situato nel cromosoma 2, responsabile della produzione dell’enzima. Sempre in Finlandia, nel 2002 viene scoperta la mutazione genetica coinvolta, che si mostrerà in seguito essere la stessa in tutta Europa. Nel 2007 viene scoperta un’altra mutazione con il medesimo fenotipo, in Africa.


LA SVOLTA

I ricercatori raggiungono il punto di svolta quando scoprono che i luoghi dove gli abitanti continuavano a produrre l’enzima coincidono con quelli dove in passato era presente un importante tradizione pastorizia, ovvero dove venivano allevati animali per prenderne il latte. L’assenza della pastorizia in paesi anche limitrofi ai primi coincideva invece con l’assenza dell’enzima. In Ruanda, ad esempio, il 92% dei Tuzi, popolo di allevatori, può digerire il latte mentre solo il 2% dei Bazi, che vivono nello stesso territorio ma non sono allevatori, può.

Le ricerche affermano che il latte diventa alimento per l’uomo circa 10000 anni fa in Anatolia (odierna Turchia) che è il periodo in cui i nostri avi nomadi si stanziarono, iniziando ad allevare capre e bovini per ricavarne il latte. 9000 anni fa l’allevamento per il latte si diffonde in Europa e 7000 anni fa in Africa. In poche parole, tra i 10000 e i 5000 anni fa in tutto il mondo l’uomo iniziò ad allevare bestie da latte.


PLOT TWIST

MA gli studi sembrano portare ad un vicolo cieco. Infatti nel 1991 era stato trovato, congelato nelle Alpi tra l’Italia e l’Austria, un uomo primitivo vissuto nell’età del rame (3300-3100 a.C.), conosciuto ai più come Otzi. Ebbene, nonostante Otzi allevasse animali da latte e vivesse quindi in quelle stesse zone dove oggi la percentuale della persistenza della lattasi è alta, non aveva l’enzima. Tutti gli studi condotti sul DNA di resti di uomini primitivi testimoniano, in quegli anni, l’assenza dell’enzima in età adulta e quindi una deficienza della lattasi diffusa.

Gli scienziati scopriranno in realtà che queste popolazioni usavano il latte probabilmente trasformandolo in latticini. I prodotti fermentati infatti, come formaggi, yogurt o burri, oltre ad essere più facili da trasportare e conservare, hanno una bassissima percentuale di lattosio e possono essere quindi digeriti, senza troppe complicazioni, anche dagli intolleranti.

Questa scoperta ha continuato in parte a depistare gli scienziati, che hanno erroneamente creduto (ed è tuttora credenza diffusa) che fosse proprio quel consumo di latte, seppur in questo caso in bassissime percentuali, che avesse determinato la persistenza della lattasi.

Oggi sappiamo che queste ipotesi sono sbagliate e che le mutazioni sono avvenute in maniera del tutto casuale.


LA SOLUZIONE

Per risolvere l’enigma, ci viene incontro il padre dell’evoluzionismo, Charles Darwin. Difatti, la tolleranza al lattosio può essere tuttora considerata una spettacolare dimostrazione della teoria evoluzionistica.

Sebbene la prima mutazione sia stata registrata circa 7500 anni fa tra l’Europa centrale ed i Balcani per poi diffondersi, è assolutamente probabile che la mutazione fosse avvenuta molto prima e avvenga tuttora, in ogni parte del mondo, tanto nei paesi dove oggigiorno è prevalente al 90%, tanto in quelli dove è in minoranza, al 2%.

Semplicemente, nei luoghi dove le bestie da latte non erano allevate (quel latte usato per i latticini), la mutazione non apportava alcun vantaggio evolutivo e, sviluppandosi ovviamente nella minoranza della popolazione, tendeva a scomparire.

Nei luoghi dove invece il latte c’era, seppur consumato solo grazie alla sua trasformazione in derivati, gli uomini colpiti dalla mutazione potevano consumare latte fresco, bevanda estremamente nutriente, nell’immediato, senza dover attendere i tempi di fermentazione.

Per fare un esempio pratico, se nella savana l’erba si fosse trovata sul suolo anziché sugli alberi, le giraffe oggi avrebbero avuto il collo corto, seppur ci sarebbero state di tanto in tanto delle giraffe mutanti a collo lungo.

In verità, ad oggi alcuni punti devono essere ancora chiariti. Da un articolo del 2017 si evince che è sicuro che la mutazione abbia determinato un vantaggio evolutivo, ma non si sa bene di che tipo. Se in luoghi come l’Africa, territorio in cui per l’uomo primitivo era difficile procurarsi viveri, il vantaggio consisteva evidentemente nella disponibilità immediata di cibo, poco chiaro è il vantaggio che ne avrebbero tratto le popolazioni scandinave. Essendo le ricerche su questa particolare intolleranza molto recenti, è probabile che con il tempo la ricerca chiarirà ogni incongruenza.


CONCLUSIONI

In ogni caso, alla domanda iniziale “bere latte è naturale?”, la risposta è sì, per coloro che sono in grado di digerire il lattosio, e la sua “naturalità” (qualunque cosa significhi) la attestano specifiche mutazioni genetiche avvenute in maniera del tutto casuale, e selezionate (o meno) poi, dall’evoluzione.

Concludo sottolineando che, a mio avviso, il problema nel consumo del latte vaccino sta nell’eticità. Infatti, non tutti sanno che la vacca produce latte solo in gravidanza, esattamente come una mamma umana: riservare il latte al nostro consumo implica sottrarlo al cucciolo, dividendolo violentemente dalla madre, destinando l’agnello (e la vacca) ad atroci sofferenze e al macello o al diventare a sua volta una macchina per produrre latte.


Elisa Serena-5c



 


Note: questo articolo è liberamente ispirato a quello di Dario Bressanini, pubblicato su “Le Scienze”. Riporto di qui il link con annesse le relative fonti: http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2012/11/22/darwin-e-linnaturalita-del-bere-latte/



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